Ormai è tradizione.
La metà però varia,
dopo numerose spedizioni in val di Scerscern questa volta puntiamo in
Val Sissone. Una faticaccia ma uno spettacolo naturale di rara
bellezza camminando a fianco del massiccio del Disgrazia:
il picco
glorioso!
Ma partiamo dall'inizio...
sabato 18 agosto. Tanti sono in vacanza ma Poul, Luca e Max, no,
niente vacanza per gli amanti del Gnp.
Partiamo da Chiesa alle 7,
Poul arriva da Brugherio mentre Luca dai Basci, destinazione
Chiareggio.
Lasciata l'auto alla piana
del Mallero puntiamo fino ad un ponte che ci permette di passare sul
lato opposto, proseguendo nel percorso dell'Alta via. A quanto pare
davanti a noi c'è il "miglior amico" del Flemi, quello che
gli ha svelato il segreto del GNP in Val Sissone e che vuole
ucciderlo per tenerlo celato :-)
Nessun problema, noi
proseguiamo. Ignorata la deviazione a destra per il rifugio
Tartaglione-Crispo raggiungiamo così la bucolica alpe Laresin (m.
1710) puntando all'alpe Sissone segundo gli ormai famigliari
triangoli gialli, il cui tracciato, su un terreno spesso faticoso
perché disseminato di massi, si addentra nella valle, lasciandosi
alle spalle gli ultimi radi larici. Diritte davanti ai nostri occhi
sono facilmente riconoscibili le tre cime di Chiareggio, e
precisamente, da sinistra, la cima meridionale (m. 3093,
immediatamente a destra del passo di Mello fra val Sissone e val
Cameraccio), la cima centrale (m. 3107) e la cima settentrionale (m.
3203). Quest'ultima, conosciuta anche come punta Baroni, non è
soltanto la più elevata, ma anche senz'altro la più elegante, con
il suo vertice conico dalle forme possenti ed armoniose e con il
singolare e pronunciato spigolo orientale. La cima è dedicata alla
memoria della guida alpina bergamasca Antonio Baroni, che proprio su
queste montagne, alla fine dell'ottocento, ebbe modo di dimostrare
tutto il suo valore. Chissà se ci dedicheranno una cima anche a
noi... cima Poul o vetta Flemi :-)
Ma non distraiamoci: non dobbiamo, infatti, perdere d'occhio i segnavia, perché ad un certo punto il tracciato devia a destra e risale il fianco della valle, seguendo una traccia molto incerta fra magri pascoli. Raggiungiamo così un piccolo pianoro e ci troviamo di fronte ad una cascata con uno spettacolo che ci ripaga ampiamente della fatica: le cime di Rosso (m. 3366, a sinistra nella foto sopra) e di Vazzeda (m. 3301) chiudono, con la loro muraglia rocciosa, il lato nord-occidentale della valle. Il colore più chiaro della cima di Vazzeda è dovuto alla sua situazione singolare per cui (caso unico nel gruppo montuoso) alle rocce granitiche si sono sovrapposte rocce sedimentarie. Non è questo, peraltro, l'unico motivo di interesse mineralogico della val Sissone, che è una sorta di Eldorado per gli appassionati di mineralogia.
Quello che interessa a noi però è
l'Aneda, il fiore bianco che fa ruttare :-) Da subito ci soncentriamo
sulla raccolta (100 piantine a testa, mai di più) e intanto risaliamo verso
ovest, visto che il "migliore amico del flemi" è andato
invece verso est. La salita continua guardati a vista dal monte
Disgrazia (m. 3678), segnata da grandi seracchi e crepacci.
Oltrepassati alcuni valloncelli, puntiamo in direzione del crinale
roccioso che scende dal fianco sud-orientale della cima di Vazzeda.
Il sentiero raggiunge una ben visibile spaccatura nella roccia: si
tratta del Passo della Corna di Sissone di dentro (m. 2438), che
permette di passare dall'alpe Sissone di dentro all'alpe Sissone. Qui
iniziamo a cercare GNP che poi diverrà il GNPU'... ossia "Ghe
n'è pü" visto che non si trova se non in rare occasioni, ma
non demordiamo. Anzi poco dopo aver visto un enorme masso spaccato a
metà e con ogni probabilità staccatosi dalla montagna ci fermiamo a
morde un paio di panini.
Ora il sentiero piega a destra, salendo ripido alla costiera ("i curnèli") che separa l'alpe Sissone dall'ampio terrazzo che si trova sotto la piccola vedretta di Vazzeda. Raggiunta la base del crinale roccioso, dobbiamo superarlo con qualche semplice passo di arrampicata.
L'ultimo passaggio (chiamato "buchèlìgn" o bocchetta del Piattè di Vazzeda) richiede per la verità molta cautela e concentrazione. Dopo la discesa dove ci si poteva anche cagare sotto, sormontate le roccette del crinale, vediamo a sinistra la bandiera italiana, che preannuncia la presenza di un rifugio.
L'ultimo passaggio (chiamato "buchèlìgn" o bocchetta del Piattè di Vazzeda) richiede per la verità molta cautela e concentrazione. Dopo la discesa dove ci si poteva anche cagare sotto, sormontate le roccette del crinale, vediamo a sinistra la bandiera italiana, che preannuncia la presenza di un rifugio.
Puntiamo verso quella direzione e arrivati in zona il Flemi sale a modo stambecco sul crinale mentre noi preferiamo scendere qualche decina di metri prima e raggiungere la ferrata. Poi sopra le nostre teste appare il rifugio Del Grande-Camerini (m. 2580), che, lasciato per diverso tempo in condizioni di abbandono, è stato di recente risistemato, grazie all'iniziativa del CAI di Sovico e oltretutto lo stanno pure ampliando.
Dal rifugio si domina l'alta Valmalenco, da San Giuseppe a Chiareggio. Lo sguardo, a sinistra, è attirato dalla bella piramide del monte del Forno (m. 3214), alla cui sinistra è collocata la sella del Forno (m. 2775) che permette di scendere, sul versante svizzero.
Dopo una birra fresca e la tradizionale foto di gruppo si pensa al rientro.
L'ultimo tratto di questa tappa è interamente in discesa: seguendo infatti le indicazioni poste su un grande masso poco sotto il rifugio, seguiamo nel primo tratto la direzione che punta direttamente al fondovalle. Lungo il tragitto pieghiamo a sinistra iniziando una lunga diagonale che, superati alcuni valloncelli, conduce al limite superiore di un bel bosco di larici, dove il sentiero piega poi a destra. L'ulteriore discesa nel bosco ci permette di raggiunge il limite superiore dell'alpe Vazzeda superiore ( m. 2033), dove al sentiero dell'alta via si congiunge quello che scende dalla sella del Forno (segnavia bianco-azzurri). Attraversata l'alpe e raggiunto il suo limite inferiore, scendiamo attraverso un largo corridoio, in direzione all'alpe Vazzeda inferiore (m. 1832).
Attraversata anche quest'alpe, riprendiamo il sentiero che, nel suo limite inferiore, riparte tagliando di nuovo a destra e raggiungendo in breve un torrentello, superato il quale su un ponticello ci troviamo ad un bivio. Proseguendo a destra si arriva al rifugio Tartaglione-Crispo, ma noi invece scendiamo a sinistra dove poco dopo ci ritroviamo sul primo ponte del Mallero, varcato il quale percorriamo la pineta del Pian del Lupo.
Ecco qui iniziano i primi segni di squilibrio: Flemi cammina scalzo come un buddista in penitenza mentre, raggiunta l'auto, è il Poul a stupire con un tuffo nelle gelide acque del Mallero. Come sempre, prima di salutarci ci sta un'altra sana birra che decidiamo di sorseggiarla al bar di San Giuseppe, quello dove ci sono le piste da fondo.
Anche questo giro è andato. Stupendo come sempre!
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