giovedì 18 dicembre 2008

BUONE FESTE!!!

Nell'occasione delle prossime festività
porgiamo i nostri migliori Auguri
di buon Natale e felice Anno Nuovo
a tutti i lettori appassionati di montagna!

domenica 30 novembre 2008

L'è tüta "Bagnàda"...

...continua dal giro precedente... o meglio è parte integrante dell'itineraio sotto descritto...

...ricordate: Il canyon del GNP... ebbene, dopo la "raccolta" scendiamo a valle...

Campo Moro... Campo Franscia... 2 gallerie e 10 curve dopo sulla sinistra troviamo il Museo della Bagnada. Parcheggiamo la Panda gialla per dare inizio alla visita.

Vi consigliamo di acquistare il biglietto d'ingresso al museo, a Sondrio, prima di partire perché le prenotazioni sono sempre molto numerose. Oltre 1000 richieste in neppure 3 mesi... immaginate voi... comunque grazie ad una nostra vecchia amichetta dell'infanzia "Cinzia" recuperiamo i biglietti (10 euri cad "ben spesi").




Ci uniamo al resto del gruppo... siamo 20 persone in tutto + 2 ciceroni.

Saliamo per un sentiero camminando circa 10 minuti, poi arrivati in cima di danno cascetto ed impermeabile... pronti per il giro nelle cave.

Per far capire di cosa si tratta a chi conosce la Valmalenco solo per i "bachét" informo che il museo nasce nel comune di Lanzada con l'idea di raccontare la storia di un'attività che ha segnato la vita dei valligiani e connotato fortemente il territorio malenco: l'estrazione del talco.
La Miniera della Bagnada fu scoperta verso la fine degli anni ’20 dalla Società Anonima di Amianto dell’ingegner Grazzani di Milano, che ottenne la prima concessione di ricerca mineraria nel 1936. In realtà, già nel 1870, alcune società impegnate nell’estrazione dell’amianto intuirono le potenzialità del talco; tuttavia le difficoltà tecniche e la scarsa richiesta sul mercato di una materia prima ancora poco conosciuta fecero cadere l’interesse.
Lo sfruttamento intensivo del giacimento della Bagnada, scoperto appunto durante le ricerche di nuovi filioni di amianto, si prolungò per oltre 50 anni, fino alla metà degli anni 80. L’attività di coltivazione della Miniera era piuttosto rudimentale, basata sul lavoro manuale e priva di aiuti di tipo meccanico. O almeno questo è quello ci hanno raccontato i due ciceroni. Poi hanno aggiunto che prevedeva il trasferimento del talco attraverso teleferiche e un’organizzazione della forza lavoro in squadre di 25 minatori che si dividevano le incombenze di ogni giorno.






Bene come i minatori è iniziato il nostro viaggio ad 8 gradi di temperatura e sui 3 piani di percorso. Durata della visita circa 2 ore.






Ecco alcune foto allegate del percorso.




































L’estrazione del talco rappresenta ancora oggi un aspetto fondamentale nell’economia della Valmalenco, che con una sola miniera attiva si impone nel mercato internazionale. Certo, l’evoluzione tecnologica ha apportato alle modalità di coltivazione profondi cambiamenti in termini di modernità, senza cancellare la memoria storica che la Miniera della Bagnada vuole oggi testimoniare...
e intano noi continuiamo a camminare...

































Al termine del giro abbiamo visitato il Museo Minerario che si trova nel piano inferiore della postazione di partenza. E' l'ultimo tratto dell'itinerario, una sorte di incontro con la storia, oggetti del lavoro in miniera e di altre attività estrattive.
Vista l'ora tarda, ma soprattutto la stanchezza, non siamo riusciti a visitare il Museo Mineralogico con sposizione dei minerali della Valmalenco.
... così anziché al museo siamo andati al pub di Chiesa dove ci siamo bevuti 2 fresche Redbull... avevamo bisogno di energia... e così ci sono spuntate le aaalliiiiii...
CONSIGLIATO!
Il giro nelle cave merita... ricordate abiti pesanti e scarponcini ai piedi... meglio anche una giaccavento impermeabile mentre il caschetto lo forniscono loro.

mercoledì 22 ottobre 2008

Il canyon del GNP

La Panda gialla romba da paura sulle curve che da Chiesa in Valmalenco arrivano a Campo Moro. Ma prima la sosta d'obbligo è a Lanzada: la tappa al panificio. Dall'utilitaria scendono due balordi: Luca e Max. Rifornimento di pane e pizzette e poi di nuovo via sul Pandin. L'attrezzatura nel baule sembra per una camminata in alta montagna, ma in effetti nello zaino c'è poca roba. Allora la domanda sorge spontanea... perché pochi indumenti, poco cibo e un sacchettino con una forbice? Un carabiniere potrebbe dire che il sacchettino è per le feci... mentre un vero malenco sa che a fine agosto, quando una Panda gialla sale verso Campo Moro, non è per scalare cime ma per.... sssiiiiiii esatto... raccogliere GNP!!!
Allora... diamo le coordinate anche agli amici del blog: tutti sanno dov'è la val Lanterna... Lanzada... Campo Franscia... bla bla bla... ecco questa in fondo si divide nei due rami: uno è quello della val di Scerscen (slurppp) e l'altro, alla sua destra, è quello della valle di Campomoro. Le due valli sono rispettivamente percorse dai torrenti Scerscen e Lanterna che si incontrano per l'aperitivo giù a Campo Franscia. Ma di questo a noi poco interessa. Ora torniamo in cima. Il giro di oggi che abbiamo deciso è ad anello... non anello anale... ma anello nel senso che abbiamo pensato di partire da Campomoro - Vallone di Scerscen (pausa GNP... slurppp) - Carate - Campomoro. Il problema però è che alle 16 dobbiamo assolutamente essere alla Bagnada (vedi prossimo post) per la visita al museo.
Parte l'avventura! Punto di partenza, come già detto, è la prima diga di Campomoro (m. 1990), dove si trova un ampio parcheggio a pagamento, con righe blu dove potete usare il gratta e sosta... falso... non ci crediamo... parcheggio aggratis. Lasciata la Panda, iniziamo il cammino direzione Musella.

Attraversiamo un bel bosco di larici o pini, abeti... bhà... ricordo solo che facevano ombra :-), poi dopo circa 20 minuti vediamo l’alpe Musella.
Ampia e tranquilla conca che si stende ai piedi delle cime omonime e del monte Moro, che la incorniciano a nord e nord-est, e dell’ampio fianco del monte delle Forbici (m. 2910), che la chiude a nord-ovest. Superato un secondo ponticello, raggiungiamo un primo gruppo di baite, sul limite meridionale dell’alpe. Qui si trovano anche i rifugi Musella (m. 2021) e Mitta (m. 2020) in effetti sono sullo stesso livello di quota ma la differenza di pochi centrimetri è data dall'altezza fisica dei due gestori. Proseguiamo e troviamo facilmente il sentiero che sale, in un bosco di larici, dall’alpe Campascio (m. 1844). È, questo, un tratto della quinta tappa dell’Alta Via della Valmalenco che sale poi a destra verso i “sette sospiri” e poi al rifugio Carate e poi bla bla bla... Noi però prendiamo a sinistra verso il triangolo giallo che segnala la strada al vallone di Scerscen. Imbocchiamo, così, un sentiero che per un buon tratto corre, con qualche saliscendi, in un bosco di larici, tagliando le estreme propaggini di rocce arrotondate che scendono dallo sperone meridionale del monte delle Forbici. Il sentiero, raggiunto un punto panoramico che ci permette di gettare un’occhiata sulla piana dell’alpe Campascio, occupata, nella parte occidentale, da detriti alluvionali, piega a destra, esce dal bosco e taglia il selvaggio fianco sud-occidentale del monte delle Forbici. Ad un certo punto, sulla nostra destra, si impone allo sguardo una singolare e quasi surreale formazione rocciosa, massiccia, levigata, dalle sfumature nere e rossastre; rappresenta un po’ un punto di svolta, in quanto il panorama, alle nostre spalle, dominato dalla costiera Valmalenco. Poco oltre, una grande roccia arrotondata ed esposta si frappone al nostro cammino: non potremmo superarla senza l’ausilio della passerella in legno costruita sul suo fianco e corredata di una corda fissa. Passate pure nessuno si farà la cacca addosso perché il ponte è breve. ffiuuuuu.. Poi il sentiero attraversa un corpo franoso, prima di condurci alle miniere abbandonate di amianto, a quota 2050, segnalate da un cartello della Comunità Montana Valtellina di Sondrio, che dà anche il Cimitero degli Alpini ad un’ora di cammino. A poca distanza dalle miniere, raggiungiamo il ponte che ci porta sul lato opposto del vallone nel quale stiamo entrando, cioè sul lato occidentale. Qui, per un buon tratto, procediamo sul limite dei depositi alluvionali del torrente Scerscen, prima di guadagnare un po’ quota, guidati dai segnavia (triangoli gialli) sul fianco del vallone. Si apre, intanto, il superbo scenario delle più alte cime di Valmalenco: le prime ad apparire sono il pizzo Sella (m. 3511), a sinistra, ed il pizzo Roseg (m. 3937), a destra. Ben presto appaiono, poi, più a destra, i pizzi Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4049). Ancora più a destra, ecco la caratteristica ed inconfondibile Cresta Güzza (m. 3869). Chiude la superba testata della Valmalenco, sul lato destro, il pizzo Argient (m. 3945). Comminiamo ancora e dopo circa un'ora di passo alpino comincia a sertirsi odore di GNP. Siamo quasi in fondo alla valle, o vallone, di Scerscen... quella che è stata definita il Canyon della Valmalenco vista la suggestione che questa grande conca di detriti alluvionali, che si stende ai piedi dei giganti della testata della valle. Ma poi nominata, da noi, il Canyon del GNP. Una suggestione legata alla solitudine dei luoghi molto meno percorsa rispetto alle vie escursionistiche più classiche della Valmalenco piene di milanesi. Fantastica l’acuta sensazione della propria piccolezza, che si sperimenta di fronte alla vastità degli spazi che gradualmente si aprono ed alla verticalità della compagine delle cime che chiudono l’orizzonte a nord. Così come il pene quando prende freddo, anche noi ci sentiamo minuscoli percorrendo il vasto circo della parte terminale del vallone, circondati, da tutti i lati, da formazioni rocciose dalle forme più diverse.
E' proprio qui che Luca scatta come un camoscio a ridosso di gigantesce rocce bianche. Forse va ad urinare, pensa Max, ma visto il ritardo allora pensa ad uno scarico di intestino. Supposizioni sbagliate... Luca sapeva quel che faceva e si era messo a testa bassa a raccogliere... GNP!
Da buon malenco all'inizio mi depistava e faceva il misterioso: vieni qui, resta lì, segui il sentiero e raggiungimi... calcolando che il sentiero arriva alla Marinelli.. ma poi Luca mi ha svelato posti fantastici e nel giro di poco tempo abbiamo fatto una buona scorta. (per evitare controlli della Guardia forestale viene omessa la quantità... però possiamo dire che il sacchetto pesava quanto un finanziere.... hahahaha... magariiii :-( poca raccolta ma buona... diciamo.... Abbiamo poco tempo da perdere e così poco prima di mezzogiorno riscendiamo a valle verso il cimitero degli Alpini e prendiamo il sentiero alla nostra sinistra. Destinazione rifugio Carate. Mentre saliamo a fatica il massiccio complesso roccioso che culmina appena sotto il monte delle Forbici, dove c'è il lago della Forbici... le stesse Forbici che abbiamo nello zaino... delirando e ridendo finalmente siamo in cima, investendo le nostre ultime energie. Fantastico: ecco la della testata della Valmalenco, ecco la forca d’Entova, cima che nasconde alla vista le più famose cime del Sasso d’Entova (m. 3329), del pizzo Malenco (m. 3438) e del pizzo Tremoggia (m. 3441). Ci fermiamo per un paninazzo veloce sulla rica del laghetto e poi via di nuovo, pausa Rifugio Carate (m. 2636), nella parte alta dell’alpe Musella, che Luca conosce bene. Così dopo circa 4 ore e mezza - 5 ore di cammino con pausa raccolta GNP, dislivello di circa 1000 metri, ci fermiamo per una sana panascè media al rifugio, offerta dai gestori amici di Luca. Ora non ci resta che piangere... ops non ci resta che procedere alla discesa. Max si avvia un po' prima per i soliti maledetti problemi al ginocchio, poi arriva Luca che puzza maledettamente di sudore... acc ma non è lui ad essere così maleodorante ma una maglietta che poco dopo consegnerà ad un turista con la memoria corta: l'aveva dimenticata su al rifugio. Scendiamo ancora, superiamo i dossi più alti che costituiscono il fronte dei “sette sospiri”, fino ad un bivio, al quale prendiamo a destra verso l’alpe Musella. Qui incontriamo un amico che ci offre vitto ed alloggio, ma purtroppo non possiamo accettare perché siamo in ritardo... ricordate che abbiamo la visita al museo?.... la discesa prosegue... tra risare e racconti... siamo alla macchina. Giusto 10 minuti per un po' di stretching... e ora la palla passa alla Panda gialla che ci conduce a valle. Un giro spettacolare, un tempo spettacolare e speriamo... in un liquore spettacolare. MG

martedì 26 agosto 2008

Giro ideale per le famiglie




CAMPAGNEDA

e rifugio CRISTINA

A volte ci preoccupiamo che i bimbi non camminano e che non ci sono posti carini per passare una bella domenica in famiglia all'aperto. Così per sfatare questa credenza di origini malenche (hehhehe) una comitiva di matti è partita direzione Campagneda e rifugio Cristina. Sul treno della simpatia c'erano Roberto, Roberta, Alice, Lucia, Serena; Luca, Jenny, Nadia e Max, Katia, Gaia e Lara. Calcolate poi che la sera precedente eravamo tutti alla tradizionale festa di Torre Santa Maria: salsicce, polenta formaggio e tanto vino. Ma alla fine siamo stati tutti bravi!
Ritrovo domenica 10 agosto, ore 9.30 sotto casa di Max in via Sasso a Chiesa in Valmalenco. Si parte a bordo delle due Panda... piano piano per evitare effetti vomitino. Le bambine sono contente!
Dopo la scelta tra Lago Palù e Campagneda, vince Campagneda 1 a 0 e quindi prendiamo direzione Lanzada. Raggiunta la località Campo Franscia proseguiamo verso le dighe e dopo aver superato l'ultimo paffuto concorrente della gara ciclistica Torino-Lione-Campo Moro finalmente svoltiamo a destra direzione Campagneda. Per ora nessun rigurgito a bordo. Parcheggiamo le auto sul ciglio della strada e partiamo tutti a piedi. Dopo 4 passi una bambina chiede: "Non siamo ancora arrivati?"
Ignoriamo l'affermazione e proseguiamo. Il sentiero è largo come un'autostrada e la salita è accessibile anche a chi come noi ha dolori alle gambe appena scende dal letto. I bambini camminano ma bisogna raccontare loro centinaia di storie. La piccola Lucia è la più brava ma solo dopo capiamo il perché: si è fatta tutto il sentiero pacifica e rilassata nel marsupio da montagna... tutti volevamo "tornà bambini"...
Alla fine passiamo il rifugio Ca' Runcash e prendiamo direzione Cristina, sempre passando dall'autostrada sterrata.





Ma prima di raggiungere il rifugio, tra preghiere e storielle arriviamo ad una collinetta a lato del sentiero, appena dopo il torrente. Un posto assurdo ma data l'ora e l'insistenza delle bimbe diventa fantastico, anche perché altri 10 passi sarebbero stati impossibili da percorrere.

Così okkupiamo lo spiazzo con coperte e copertine... guarda spunta anche un ombrellone... fantastico!
Ora è il momento più atteso: panini, salame, bresaola, cioccolato, aranciata e perfino una bottiglia di buon vino rosso... uuaaoooo
Il tutto poi, con le bambine che si divertivano un mondo senza escludere la fantastica giornata di sole e la cornice del Pizzo Scalino alle nostre spalle. In verità, la parola Pizzo Scalino, per un attimo ha rievocato il ricordo dell'ultima sfida in montagna a Max (vedi articolo blog Valfontana-P. Scalino - Carnale) che per un attimo ha avuto un mancamento.



Dopo pranzo sono iniziati i turni al cesso naturale e poi mentre mamme e bimbe riposavano Roberto, Luca e Max si sono appartati sopra un sasso con una compagna d'eccellenza: la bottiglia di Genepì!


Dopo le 15,00 abbiamo raccolto i ferri e siamo partiti tutti insieme alla volta del rifugio Cristina. Obiettivo: la crostata alla marmellata!
Per gli amanti dell'alpinismo facile ricordiamo che il rifugio Cristina sorge tra i pascoli dell'Alpe Prabello e può essere raggiunto in 4 ore da Caspoggio, seguendo il sentiero per l'Alpe Zocca e l'Alpe Acquanera. Più dolce e più breve è invece il sentiero "autostrada" che abbiamo preso noi oppure si può prendere il sentiero che sale al dosso sul quale è posto il rifugio Zoia. Superati i primi radi larici ed alcuni enormi monoliti rossastri, lisciati dalla millenaria azione dei ghiacci si oltrepassa una parete strapiombante, per poi scendere e risalire brevemente: è qui che comincia ad imporsi allo sguardo la piramide del Pizzo Scalino (m.3323), cima elegante che dominerà costantemente il paesaggio. Si scende verso la conca dove sono situate le baite di Campagneda, e dove da poco sorge il rifugio Ca' Runcasc, oltrepassando due ruscelli ed imboccando il sentiero che procede verso sinistra e oltrepassa un pianoro paludoso ed una piana circondata da alcune grandi rocce. Superati un valloncello ed un dosso roccioso, si giunge ad un altro pianoro e di qui ad un bivio. Prendendo a sinistra si sale una gradinata di pietra e si giunge al Rifugio. L'intero percorso richiede un'ora e mezza circa. Se non sbaglio al rifugio termina la settima tappa dell'Alta Via della Valmalenco e parte l'ottava ed ultima tappa che termina a Tokio... ma forse mi sbaglio :-)



E comunque non andate al rifugio Cristina apposta per la crostata da gustare come merenda perché la risposta dei gestori è sempre la stessa: "L'abbiamo appena finita!".

Così sorseggiamo birra e gazzosa in compagnia di Samuele e poi scendiamo a valle tutti felici!

Ore 17,30 siamo alle automobili. Una bella gita in amicizia che consigliamo a tutti quei genitori disperati che hanno in casa figlie pigrone che si spacciano per Winx!

martedì 19 agosto 2008

TRIANGOLO della MORTE... delle gambe: Val Fontana - Pizzo Scalino - Val di Togno - Carnale

Sabato 2 agosto sembrava un sabato come tutti gli altri. Ma Angelo, Puol e Max sono riusciti a renderlo unico!
Ore 5,30 Sveglia. Uno sguardo dalla finestra con gli occhi impastati e una grattatina alle parti basse.
Accidenti, tempo fantastico nonostante il mega-temporale della nottata precedente!
Subito iniziano i giri di telefonate.
Poul risponde al cellulare quasi subito. Angelo parla a voce bassa per non svegliare Dany e Angela… l’appuntamento è per le 5,50 da Angelo e poi da Poul.
L’Alfettone azzurro parte spedito, mi fermo da Angelo e poi di corsa destinazione Tresivio.
Non dobbiamo perdere troppo tempo perché la camminata sarà lunga: Val Fontana – Pizzo Scalino e ritorno. O almeno così il programma generale.Il primo “problema” della mattinata sorge appena inizia a brontolarci lo stomaco… acc… non abbiamo né pane né affettato. Io nel mio zaino ho una manciata di cioccolatini, quelli che regalano quando vai in viaggio. Poul ha una scatola di pesche sciroppate, quelle che regalano quando non riesci ad andare di corpo. Angelo ha un panino solo, ma lungo quanto l’itinerario che ci accingiamo a fare, però almeno lui ha un po’ di affettato. Stiamo già pensando a come giocarci la divisione dell’affettato di Angelo quando la fortuna è dalla nostra. Alle 6,15 andiamo da un panettiere a Tresivio dove acquistiamo 5 “Sscccfilatelllli” e 4 brioche… fiuuuu… siamo salvi… almeno il pane l’abbiamo! Mal che vada come companatico usiamo erba o muschio… ma poi la bella idea l’ha Puol che dice: “Ci sarà bhè una mucca andando a Piz Scalin”. E allora partiamo soddisfatti.Ci avviamo verso la Val Fontana. L’Alfettone romba. Arrivati alla Piana dei cavalli, cerchiamo un caseario dove acquistare almeno del formaggio. Così dopo una breve avventura tra maiali, asini e mucche la nostra salvezza si fa uomo sotto il nome di Arrigo: un pastore minuto, sui 40 anni, con il codino e i denti a scacchiera (uno sì e uno no). E’ lui, infatti, che ci vende formaggio, salsicce e una bresaola talmente saporita che le acciughe salate di Cetara sembravano biscotti Plasmon. Arrigo, prima di salutarci ci avvisa: “Se andate in auto fino alla sbarra, chiudetela dopo essere passati, altrimenti mi scappano i vitelli”.
Il viaggio prosegue a bordo dell’Alfettone, e dopo un chilometro dopo la Piana dei Cavalli siamo obbligati a fermarci: ci sono vitelli dappertutto… qualcuno non ha chiuso la sbarra… acc… ora Arrigo s’incazzerà con noi!. Puol scende e con la sua racchetta da trekking cerca di spingere i vitelli verso la sbarra e liberare la strada. I vitelli lo guardano mentre muove la bacchetta, pensando: “ma che razza di animale è, questo?”. Ad un certo punto una mucca s’incazza e fortunatamente non si gira verso il Puol o l’Alfettone ma si dirige verso monte. Comincia a caricare e di violenza sposta un’altra mucca a suon di cornate fino alla sbarra. E’ la nostra salvezza, parcheggiamo l’Alfettone e comincia l’avventura!Dislivello 1734 m alla vetta Tempo in salita 5h Difficoltà 2+ Giudizio di guide serie Difficoltà: EE+









Zaino in spalla, racchette in mano si parte da 1600 metri circa verso la prima destinazione: il rifugio
Cederna Maffina. Il cartello giallo indica 2 ore 30 minuti, ma se ci sforziamo possiamo farcela in 3 ore. Il tracciato sale sul lato sinistro della val Forame. Saliamo qualche ripido tornante al filo del dosso, lo oltrepassiamo e raggiungiamo con una diagonale il greto del torrente, proprio in cima al primo e più alto gradino roccioso della valle. Il sentiero attraversa qui il corso d’acqua, ci portiamo sulla sua sinistra per un buon tratto per poi riattraversarlo, prima del secondo gradino roccioso, dal quale scende una bella cascata. Risalendo un dosso erboso, raggiungiamo i 2186 metri dell'alpe Forame, anche se noi l’avremmo volentieri chiamata l’alpe “Slavazz”, vista la quantità industriale di questa pianta erbacea presente sulla piana. La camminata prosegue tra sassi e vipere. Ne avvistiamo almeno 3 e Poul ne accoppa una, schiacciandogli la coda, ma poi quando ha visto che l’aspide si attorcigliava sulla racchetta, incazzata, finalmente gli ha schiacciato la testa. Poul 1 biscia 0. Proseguiamo. La valle è dominata dallo scuro profilo della parete est della cima di Painale (m. 3248). Nell'ultima parte del pianoro il sentiero, sempre segnalato, comincia a salire tendendo leggermente a destra per superare un terzo gradino sul suo fianco erboso.








Raggiunta la sommità del dosso, se ne trovano altri, con qualche roccetta affiorante, e li si supera tendendo verso nord. Il rifugio (m. 2583), che si raggiunge piegando leggermente a destra, resta nascosto dietro l'ultimo dosso, ma è segnalato anche ad una certa distanza dalla ben visibile bandiera della Lega, ops dell’Italia, posta a qualche decina di metri di distanza. L'edificio è stato ristrutturato dalla sezione valtellinese del CAI nel 1980, ma la sua costruzione, finanziata da Antonio Cederna, risale al 1903. Molto bella, dal rifugio, è la visuale sul versante orientale dell'alta val Fontana, dove si distinguono, da sinistra, la val Sareggio, la valle dei Laghi e la val Malgina, con il passo omonimo che permette di scendere in val Poschiavina.
Il rifugio è chiuso solo da un catenaccio, entriamo. Ben tenuto, pulito e ben ordinato. Complimenti a tutti gli escursionisti per l’educazione. Max lascia il cioccolato di Angelo in segno di riconoscenza. Sarà poi la gioia delle formiche. Facciamo alcune foto e poi… pausa brioches. Nel frattempo ci raggiungono una decina di camosci che percorrono il sentiero a passo sostenuto… accidenti non sono camosci… è una comitiva di ragazzi simpatici che faceva il nostro stesso sentiero. Peccato che loro erano un pochino più in forma di noi: una ragazza della compagnia era gravida, un ragazzo diabetico, uno malato, un indisposto e uno con una leggera paresi agli arti. Eppure al Pizzo Scalino ci hanno dato circa 30 minuti... sigh.. sigh…
Zaini di nuovo in spalla, ripartiamo dal rifugio Cederna. Il sentiero è praticamente verticale. Superata una larga conca pascoliva a circa m 2700, passiamo accanto a spettacolari rocce carbonatiche. Il loro bianco è così intenso e abbagliante da infastidire la vista.



















Proprio qui Poul decide di togliersi i jeans e la felpa perché forse cominciava a far troppo caldo e fatica e finalmente indossa i calzoncini… noi speriamo che siano quelli famosi di Desy Luch ma ci sbagliamo.






















Ritorniamo a camminare. Puntiamo alla spalla meridionale della montagna e, vincendo un ripido pendio detritico finalmente siamo in cima. Uno spettacolo si apre alla vista: siamo allo spartiacque fra la Val di Togno e la Val Fontana, davanti a noi il pizzo Scalino… fantastico. Scattiamo alcune foto al panorama surreale, siamo a quota 3.068. Dopo una decina di minuti riprendiamo il cammino, l’ultimo strappo.




Così percorriamo la Via Normale verso la vetta. Arrivati alla base del pizzo Scalino, incontriamo Giovanna, una ragazza del gruppo che abbiamo incrociato al Cederna, non quella gravida ma quella zoppa. La giovine ha rinunciato alla cresta dello Scalino e solo successivamente abbiamo capito il perché, anzi, forse solo Max ha capito il perché, e Poul lo aveva capito lo scorso anno mentre Angelo lo aveva capito in gioventù. Proviamo a convincerla mostrandogli la corda di Angelo: un budello verde elastico normalmente usato per bloccare i bagagli. A quel punto Giovanna si è convinta nel restare seduta. Noi invece proseguiamo. Dopo la prima cresta, nulla, il problema arriva sulle prime boccette dello scalino. Una crisi di panico blocca Max per alcuni attimi, ma incoraggiato da Angelo e Poul tutto viene superato (per modo di dire).



















Si sente puzza di cacca ma è tanta la voglia di arrivare in cima e così dopo 15 minuti, ecco la croce… SIAMO IN VETTA! Metri 3323, sabato 2 agosto, ore 12,45. Scrivete!
















Il cielo è limpido e lo spettacolo è impressionante. Dopo alcune foto di rito è il momento tanto atteso della pappa: panin, furmàc e luganeghi… fantastico! In vetta ci sono anche 2 simpatici amici valtellinesi saliti dal ghiacciaio. Uno di loro si spaccia per fisioterapista e “strappa” il quadricipite destro di Puol, già affetto da crampi. Si scoprirà poi che era un piastrellista di Sondrio che stava leggendo il libro: L’Abc del corpo umano.


























Tra mega divertimento e risate a crepapelle qualcosa di macabro abbiamo involontariamente partorito: “perché non scendiamo dalla Val di Togno… guarda il lago del Painale è appena lì! (APPENA LI’!!!!) Poi ci fermiamo a Carnale per cena e Katia ci porta in Val Fontana a recuperare l’auto. Sembrava una proposta fattibile, oltretutto era un percorso che mancava ad Angelo. Perfetto partiamo!

Ore 14.00 lasciamo con dispiacere la vetta del pizzo Scalino diretti verso il lago Painale (APPENA LI’!!!!). Alle 14,15 sento Katia via telefono e le dico aspettaci per cena: alle 18.00 saremo a Carnale. Ignaro di ciò che avevamo detto… iniziamo la discesa e i cellulari saltano… non c’è più campo. A scendere dallo Scalino, sono sparite le vertigini anche a Max… accidenti un altro escursionista deflorato dalla montagna. Scendiamo dalla sella, una discesa tra terraccia e morena in discreta pendenza. Scendiamo e scendiamo ancora, arriviamo ai primi alti pascoli di Painale, ma accidenti il lago è sempre alla stessa distanza, non si avvicina mai. Proseguiamo scavalcando e raggirando 2 e poi 3 e poi 4 e poi 5 promontori verdi ma la piana di Painale è sempre là.
Arrivati “quasi” alla piana, dopo 2 ore e 30 minuti di costante discesa, decidiamo di dare un occhio alla cartina. Abbiamo percorso 2 dita di tracciato e ci manca ancora una spanna… Puol dopo aver udito queste parole sviene… Forza dobbiamo riprendere la discesa. Ad occhio nudo di vedono dei puntini a valle… accidenti sono mucche… siamo ancora lontani… camminiamo… camminiamo e camminiamo… fortunatamente ci stiamo divertendo come matti e ridiamo a crepapelle. Il tempo passa. Poi finalmente siamo a valle e scopriamo perché la piana di Painale è di un verde così brillante: è una palude unica. Ma ci accorgiamo di questo solo quando siamo nel suo interno. Così tra salti e scorciatoie Angelo e Max ne escono indenni, gli scarponi di Puol sono invece pieni di pesci… ci fermiamo e Puol indossa le calze dell’ASM. Mette due sacchi neri dei rifiuti ai piedi e calza di nuovo gli scarponi. Ora va molto meglio…
Si riparte.. finalmente siamo al rifugio Painale De Dosso (m 2119)… accidenti è chiuso… poi come d’incanto si presentano 2 persone gentilissime, lui da lontano sembra Arrigo ma è solo un’allucinazione. I due hanno le chiavi della capanna e ci offrono anche un buon caffè con grappa. Ci fermiamo un po’ con loro e dopo una piacevole conversazione abbiamo il dovere di ripartire. Sono già le 17,30 e i cellulari non prendono ancora. Il signor Bongiascia e sua moglie si complimentano per il giro che abbiamo fatto consigliandoci di pernottare sul Cederna, la prossima volta. Ma il problema è che la prossima volta andremo alla Porro ;-).
Il cammino prosegue… finalmente abbiamo il lago Painale alla nostra sinistra, ricordate il famoso lago “APPENA LI’!!!!”. Non lo degniamo di uno sguardo e proseguiamo. La discesa è ancora lunga e non siamo nemmeno in Val di Togno. Camminiamo… camminiamo… le gambe cominciano a cedere… Poul ha le convulsioni ma non molla… GRANDE PUOL!!! Max ha la parte esterna delle ginocchia che scricchiolano… GRANDE MAX!!!! Anche Angelo, che è il più allenato risente della fatica e le sue unghie da 10 sono ormai diventate solo 4… GRANDE ANGELO!!!! In un momento di debolezza Angelo confessa che è uno dei giri più lunghi della sua carriera alpinistica, solo una volta è rincasato verso le 20 nell’uscita in una cima delle montagne svizzere ma quella volta perché avevano sbagliato strada… questa volta invece… la strada è giusta! Panico. Comminiamo e camminiamo… ancora… poi verso le 20,00 finalmente siamo quasi in fondo alla Val di Togno, passiamo davanti a casa di Gianfranco ma fortunatamente non c’è nessuno, altrimenti Poul si sarebbe fermato quasi sicuramente a dormire. Ma sappiamo bene che i guerrieri non mollano e camminando e camminando arriviamo al rifugio Val di Togno. Il gestore quando gli confidiamo il giro che abbiamo fatto si complimenta per la buona gamba… ma non sa che delle gambe buone ormai non è rimasto più nulla.
Poi ci porta da bere. Puol una Coca cola per sfruttare l’effetto caffeina. Max un succo di frutta per risucchiare qualche vitamina e Angelo infine ha ordinato “qualcosa che rende” un bicchiere di vino rosso, sperando che la fermentazione alcolica gli facesse passare il dolore alle unghie. Tutti e tre ci siamo illusi. Al momento del pagare è scattato il solito gioco del portafoglio mancante e così paga Max. A proposito mi dovete 2,13 euro a testa… Si riprende il cammino, sono le 20,30 e manca ancora l’ultimo tratto: rifugio Val di Togno e casa di Carnale. Un’ora di sentiero, che dopo 12 ore di cammino, è come percorrere la Grande muraglia a piedi nudi. Nell’ultimo tratto il delirio. Risate a crepapelle, Puol che ulula nel bosco buio. Non si vede più nulla.
Sono le 21,40 e siamo alla prima cascina di Carnale. Katia fa l’ennesima telefonata, per 2 volte aveva cucinato risotto e dopo averlo usato come collante ci chiedeva dove eravamo. Mancava pochissimo… ancora 15 minuti ed eravamo a casa. Ore 22, siamo a casa a Carnale. Gaia e Lara ci accolgono con un abbraccio, Katia con una padella. C’è altra gente che ci aspettava, forse si era sparsa la voce che ci stava scappando il morto. Purtroppo dalle ore 15 alle 20 le comunicazioni con i cellulari erano nulle a causa dell’assenza di campo della Val di Togno. Nel pomeriggio, infatti, era partito un tam tam di chiamate tra Franca, Katia e Angela. Fortunatamente Veronica ed Elena erano all’estero altrimenti ne sarebbero rimaste inesorabilmente coinvolte. Sempre tra risate e racconti ci siamo rifocillati con spaghetti ed affettato. Poi Katia che ha portati a Sondrio ed è risalita in vetta. Una doccia e alle 00,45 siamo andati tutti a nanna. Quella notte avremmo dormito anche nell’acqua senza svegliarci. Il giorno dopo Angelo è tornato in Svizzera ad attaccare quadri mentre Max, Puol e Michele sono andati in Val Fontana a recuperare l’automobile. Un’avventura a lieto fine che non dimenticheremo mai!
Voto 10+

La nostra storia inizia oggi...

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